Venerdì 3 maggio, una delegazione di 25 persone tra studenti, insegnanti e direttori, hanno avuto la possibilità di incontrare, in udienza esclusiva e straordinaria, Papa Francesco. Per UPT di Trento erano presenti il Direttore Walter Iori, la docente di Religione Serena Pasquali e gli studenti Gianluca Beozzo e Sara Puecher. Di seguito l'intervento del Santo Padre dedicato alla Formazione Professionale Italiana.
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Signor Ministro dell’Istruzione, Signor Valditara, cari fratelli e sorelle, buongiorno! Do il benvenuto a tutti e saluto in particolare il Presidente della CONFAP, i formatori, gli educatori e i giovani presenti, tutti voi che siete parte attiva degli Enti di formazione professionale. La vostra Confederazione compie 50 anni, mentre ricordiamo anche il 25° dell’Associazione Forma FP. E vorrei dirvi subito “grazie”, grazie perché il vostro servizio, ispirato alla dottrina sociale della Chiesa, è un contributo di vitale importanza per la società in cui viviamo. Col vostro impegno quotidiano, voi siete espressione della ricca e variegata spiritualità di diversi Istituti Religiosi, che hanno nel loro carisma il servizio ai giovani attraverso la formazione professionale. Si tratta di percorsi formativi all’avanguardia, che vantano un’alta qualità di metodologie, esperienze di laboratorio e possibilità didattiche, tanto da costituire un fiore all’occhiello nel panorama della formazione al lavoro. E, cosa ancora più importante, la vostra proposta formativa è integrale, perché oltre alla qualità degli strumenti e della didattica, riservate una cura e un’attenzione speciali soprattutto verso i giovani che si trovano ai margini della vita sociale ed ecclesiale. Grazie per quello che fate; grazie ai formatori che si dedicano con passione ai giovani. E con questo spirito di gratitudine, vorrei offrirvi alcune riflessioni intorno alle tre parole che caratterizzano il vostro impegno: giovani, formazione, professione. Innanzitutto, giovani – siete tanti qui! –. Sono una delle categorie più fragili del nostro tempo. I giovani, sempre colmi di talenti e di potenzialità, sono anche particolarmente vulnerabili, sia per alcune condizioni antropologiche che per diversi aspetti culturali del tempo in cui viviamo. Alludo non solo ai NEET che non sono né in formazione né in attività, ma ad alcune scelte sociali che li espongono ai venti della dispersione e del degrado. Molti giovani, infatti, abbandonano i loro territori di origine per cercare occupazione altrove, spesso non trovando opportunità all’altezza dei loro sogni; alcuni, poi, intendono lavorare ma si devono accontentare di contratti precari e sottopagati; altri ancora, in questo contesto di fragilità sociale e di sfruttamento, vivono nell’insoddisfazione e si dimettono dal lavoro. Dinanzi a queste e ad altre situazioni simili, tutti noi dobbiamo prendere consapevolezza di una cosa: l’abbandono educativo e formativo è una tragedia! Sentite bene, è una tragedia. E, se occorre promuovere una legislazione che favorisca il riconoscimento sociale dei giovani, ancora più importante è costruire un ricambio generazionale dove le competenze di chi è in uscita siano al servizio di chi entra nel mercato del lavoro. In altre parole, gli adulti condividano i sogni e i desideri dei giovani, li introducano, li sostengano, li incoraggino senza giudicarli.
A questo proposito, vorrei dire a voi, che con creatività spendete in questo campo il vostro essere cristiani: non perdete di vista nessuno, siate attenti ai giovani, abbiate cura di quelli che non hanno avuto opportunità o che provengono da situazioni sociali svantaggiate. Non tutti hanno ricevuto il supporto indispensabile della famiglia e della comunità cristiana e noi siamo chiamati a farcene carico, perché nessuno di loro può essere messo alla porta, soprattutto i più poveri ed emarginati, che rischiano gravi forme di esclusione, compresi i migranti. Chi si sente scartato può finire in forme di disagio sociale umanamente degradanti, e questo non dobbiamo accettarlo! La seconda parola è formazione, che indica un impegno indispensabile per generare futuro. Le trasformazioni del lavoro sono sempre più complesse, anche a motivo delle nuove tecnologie e degli sviluppi dell’intelligenza artificiale. E qui siamo chiamati a respingere due tentazioni: da un lato la tecnofobia, cioè la paura della tecnologia che porta a rifiutarla; dall’altro lato la tecnocrazia, cioè l’illusione che la tecnologia possa risolvere tutti i problemi. Si tratta invece di investire risorse ed energie, perché la trasformazione del lavoro esige una formazione continua, creativa e sempre aggiornata. E nello stesso tempo occorre anche impegnarsi a ridare dignità ad alcuni lavori, soprattutto manuali, che sono ancora oggi socialmente poco riconosciuti. Una valida formazione professionale è un antidoto alla dispersione scolastica e una risposta alla domanda di lavoro in diversi settori dell’economia. Ma – voi me lo insegnate – una buona formazione professionale non si improvvisa. Serve un legame con le famiglie, come in ogni tipo di esperienza educativa; e serve un sano ed efficace rapporto con le imprese, disposte a inserire giovani al proprio interno. Questi per voi sono i due poli di riferimento, perché insieme alle competenze tecniche sono importanti le virtù umane: una tecnica senza umanità diventa ambigua, rischiosa e non è veramente umana, non è veramente formativa. La formazione deve offrire ai giovani strumenti per discernere tra le offerte di lavoro e le forme di sfruttamento. La prima parola “giovani”. La seconda parola “formazione”. La terza parola professione. Giovani, formazione e professione. La professione ci definisce. “Che lavoro fai?”, si chiede a una persona per conoscerla. “Come ti chiami? Che lavoro fai?”: presentiamo gli altri attraverso il loro lavoro. È stato così anche per Gesù, riconosciuto come il «figlio del falegname» (Mt 13,55) o semplicemente come «il falegname» (Mc 6,3). Il lavoro è un aspetto fondamentale della nostra vita e della nostra vocazione. Eppure, oggi assistiamo a un degrado del senso del lavoro, che viene sempre più interpretato in relazione al guadagno piuttosto che come espressione della propria dignità e apporto al bene comune. Pertanto, è importante che i percorsi di formazione siano al servizio della crescita globale della persona, nelle sue dimensioni spirituale, culturale, lavorativa. «Quando
uno scopre che Dio lo chiama a qualcosa, che è fatto per questo – può essere l’infermieristica, la falegnameria, la comunicazione, l’ingegneria, l’insegnamento, l’arte o qualsiasi altro lavoro – allora sarà capace di far sbocciare le sue migliori capacità di sacrificio, generosità e dedizione. Sapere che non si fanno le cose tanto per farle, ma con un significato, […] fa sì che queste attività offrano al proprio cuore un’esperienza speciale di pienezza» (Esort. ap. postsin. Christus vivit, 273). Tre parole: giovani, formazione, professione. Non dimenticatele! Vi incoraggio a continuare ad avere a cuore i giovani, la formazione e la professione. E vi ringrazio, perché attraverso la vostra creatività dimostrate che è possibile coniugare il lavoro e la vocazione della persona. Perché una buona formazione professionale abilita a compiere un lavoro e, nel contempo, a scoprire il senso del proprio essere al mondo e nella società. Vi accompagno con la preghiera. Di cuore benedico tutti voi e le vostre famiglie. E vi raccomando: non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!
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